Alessandra Mastronardi:”Io, autodidatta, facevo fatica a definirmi un’attrice”

0
4525
attrice

A pochi giorni dall’ospitata a “Domenica In” con Lino Guanciale per promuovere “L’Allieva 3” e dal debutto della fiction su Rai Uno, Alessandra Mastronardi è stata intervistata dal Corriere della Sera. L’attrice si è raccontata al quotidiano e ha rivelato la sua impressione sull’esordio del terzo capitolo de “L’Allieva” sulla rete ammiraglia Rai, sostenendo di intravedere negli occhi degli attori “un’espressione diversa, più pesante“.

Di seguito riportiamo le dichiarazioni dell’attrice:

Alessandra Mastronardi ospite a “Domenica In” su Rai Uno il 27 settembre presso gli Studi Rai Fabrizio Frizzi di Roma per promuovere “L’Allieva 3”.

Più di quattro milioni di telespettatori non si sono persi il suo ritorno con il camice bianco, confermando che L’allieva (in onda domenica sera su Rai 1, prodotta da Rai Fiction e Endemol Shine) è un successo e Alessandra Mastronardi un’attrice tra le più amate. Eppure, giura, questa terza stagione è diversa dalle altre: «Le riprese sono iniziate a novembre e le abbiamo chiuse dopo il lockdown, in una piena e caldissima estate romana. Abbiamo cercato di non far trasparire che è stata girata a cavallo tra il nostro vecchio mondo — pre pandemia —, e quello nuovo, ma io vedo nei nostri occhi un’espressione diversa, più pesante».

Indossare il camice ha avuto un sapore diverso?

«I medici erano degli eroi anche prima della pandemia, ma è vero che ho sentito una meravigliosa responsabilità in più, un onore. Il nostro mestiere, in fondo, è intrattenere. Può essere d’aiuto a qualcuno, ma non salviamo vite».

Come è nata la passione per la recitazione?

«Un po’per caso, quando ero piccola. La mia famiglia non era molto favorevole: sono figlia di uno psicologo con laurea in filosofia mentre mia mamma dirige una scuola universitaria per medici e infermieri. Entrambi amavano il cinema e il teatro, me lo hanno trasmesso. A lungo per me è stato un gioco: potevo recitare solo nei fine settimana per non togliere tempo alla scuola. Non ho avuto il coraggio di scrivere sulla carta d’identità che di professione facevo l’attrice fino dopo i 25 anni».

Quindi ben oltre i «Cesaroni»…

«Sono stati la mia università. Mi ero iscritta al centro sperimentale di cinematografia quando è arrivato quel provino: sono rimasta per cinque anni. Ho imparato tanto, ma non ho più fatto una scuola, sono un’autodidatta, una figlia del set».

Le dispiace?

«A lungo non mi sono sentita all’altezza di potermi definire un’attrice. Così come per diverso tempo mi è dispiaciuto essere etichettata perennemente come Eva dei Cesaroni, mi pesava: cercavo di crescere, fare altro, ma ogni volta tutti mi riportavano lì. Con il tempo ho capito invece che non è così facile interpretare un ruolo che entra nel cuore delle persone. Oggi sono molto felice, di certo non mi sarei mai aspettata, a 34 anni, di avere una serie che porta un po’ anche il mio nome, come L’allieva».

C’è chi le ha mai fatto pesare l’essere una figlia del set?

«Ma certo, come no. Questo lavoro si fa con le porte in faccia, con i no e perfino con le critiche e i commenti… hai voglia a dire di non prenderla sul personale. Soprattutto all’inizio è stato molto difficile: mi sentivo sempre in difetto e diventavo il mio peggior nemico. Poi ho capito che era un trappolone e che non dovevo caderci per non diventare la sabotatrice di me stessa. Le critiche ci saranno sempre, bisogna imparare a conviverci».

Una che l’ha ferita in particolare?

«I provini sono un perenne banco di prova e sono stati tanti i momenti in cui dei registi mi hanno fatta sentire un pesce fuor d’acqua. In particolare però ricordo una produttrice che mi disse, appena uscita dai Cesaroni, che non sarei mai riuscita a fare cinema: “Sei un prodotto della tv e tutti sanno che possono vederti gratis”. Sono ferite che fanno male e che, comunque, rimangono un po’ aperte».

Poi però si è trovata a recitare per Woody Allen…

«Un’esperienza indimenticabile, tra le più belle della mia vita. Mi rendevo conto di aver messo piede sul set di una colonna portante del cinema. La sua storia personale è molto meno semplice di come viene banalizzata, ma su quello non mi esprimo. Sul set è stato meraviglioso, anche se non parla moltissimo, tanto che all’inizio temevo potesse decidere di cambiarmi il giorno dopo: stava sempre zitto. Invece non diceva niente perché si fidava: ti lascia fare. Con Antonio Albanese improvvisammo un’intera scena e lui rideva dietro il monitor. Ci disse solo una singola cosa a testa ma che cambiò radicalmente il sense of humor di tutto: un genio».

Quindi ci lavorerebbe di nuovo?

«Mi piacerebbe moltissimo, sì».

Cosa pensa del MeToo?

«Per fortuna c’è stato anche se è stata un po’la scoperta dell’acqua calda. Grazie a Dio il vaso di Pandora è stato scoperchiato. All’inizio, forse, si faceva di tutta l’erba un fascio: c’erano persone preoccupate di ricevere denunce per degli appuntamenti di anni prima. La cosa buona per noi donne è che ora se ne parla e tanto».

Ha detto che ha conosciuto il suo fidanzato,Ross McCall, via Skype…

«Ecco, sono stata fraintesa. L’ho conosciuto tramite amici comuni, poi io partecipato a un suo film: lui viveva a Los Angeles e io a Londra, così per due mesi abbiamo parlato a distanza, via Skype».

Come mai ha scelto di vivere a Londra?

«Prima per una relazione sentimentale, poi ho deciso di fermarmi per alzare l’asticella. Ero stanca di alcuni meccanismi che si stavano ripetendo, sul lavoro come nella mia vita: avevo bisogno di un cambiamento. Quello che ho conquistato mi ha fatta crescere».

Sogni per il futuro?

«Mi piacerebbe un domani aprire una piccola casa di produzione, per dare voce a nuovi registi e giovani attori, magari senza infliggere le bastonate ricevute. Poi da sempre mi vedo mamma: vorrei tantissimo diventarlo».

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here