In occasione dell’uscita dei film “Con Chi Viaggi” – al cinema dal 23 al 25 maggio 2022 – e “La Donna Per Me” – dal 23 maggio visionabile su Sky Cinema Uno e in streaming su NOW TV – Alessandra Mastronardi si racconta in una lunga intervista a Elle Italia: ecco cosa ha dichiarato l’attrice.
Il numero di telefono al quale ci diamo appuntamento è inglese, ma lei risponde dall’Italia e non potrebbe essere altrimenti per Alessandra Mastronardi che, con una vita da anni divisa tra Londra e Roma, non ama chiedersi quale sarà la prossima città dove andrà a vivere e intanto si gode quer venticello stuzzicarello della Capitale perché “in questo periodo dell’anno non esiste posto migliore”. Impegnata nella promozione del film Con chi viaggi – prodotto e distribuito da Lucky Red, in collaborazione con Alamo Audiovisual Quinta Parte, Sky e Amazon, al cinema il 24 e 25 maggio –, una commedia a tinte noir incentrata sulle vicende di quattro sconosciuti che si incontrano grazie ad un’app, l’attrice interpreta Anna, uno dei passeggeri che insieme a Michele (Fabio Rovazzi) ed Elisa (Michela De Rossi) accetta di condividere un viaggio in auto da Roma a Gubbio con Paolo (Lillo), un irrequieto uomo dall’aspetto simpatico che sembra nascondere qualcosa. Un viaggio claustrofobico che, tra una chiacchierata e l’altra, segreti e fraintendimenti, risate e colpi di scena, è destinato a trasformarsi in una vera avventura per i quattro protagonisti.
Alessandra, com’è stato recitare con Lillo?
È stato difficile perché è un artista a tutto tondo e quando improvvisa diventa pericolosissimo. Io stessa sul set avevo grossi problemi a rimanere seria: mi piantavo le unghie nelle gambe o mi giravo dall’altra parte per non ridergli in faccia, ma quando mi rivedevo nelle scene non ce n’era una in cui non accennassi un sorriso. Fabio Rovazzi in America sarebbe un nerd di quelli super tecnologici: non ci avevo mai lavorato prima ed è stato una scoperta. Michela invece una grande professionista, molto generosa. Meno male che ci siamo trovati, altrimenti non so come avremmo fatto tre settimane nella stessa macchina!
A proposito dell’ambientazione claustrofobica, com’è stato recitare per la durata di quasi tutto il film nell’abitacolo di un’auto?
Sembrava il viaggio più lungo della nostra vita, non si scendeva mai. All’inizio eravamo tutti molto professionali, gli ultimi giorni la macchina si è trasformata nel set: avevamo acqua, patatine, coca cola. Parlavamo anche durante lo stop, a un certo punto ci siamo dimenticati della macchina da presa e ci siamo un po’ sbracati (ride, ndr). Dal punto di vista recitativo la gestualità era contenuta, era fatta di molto ascolto, ed è stato un buon esercizio.
Nel film ogni personaggio ha qualcosa dentro di sé che non dice, la stessa espressione dei sentimenti, seppure in chiave comica, diventa difficile. A proposito di incomunicabilità, che rapporto hai con i social e con i tuoi follower?
Un rapporto di amore e odio. Mi diverte perché è un mezzo per mostrare il mondo come lo si vede attraverso la propria sensibilità, che con il lavoro di attore è sempre filtrata dall’occhio del regista e dalla sceneggiatura. Ma non sono una di quelle persone che postano tutta la loro vita, quello no. Un po’ perché penso che non interessi a nessuno quello che ho mangiato a colazione e un po’ perché credo che sia bello tenere un filtro tra quello che si è e quello che si fa. Non mi piacerebbe che qualcuno andasse a vedere un mio film e invece che entrare nella storia si fermasse al ricordo della foto che ha visto il giorno prima. La magia della recitazione si spezzerebbe per questo cerco sempre di trovare un equilibrio tra queste due cose.
E tra l’impegno e il disimpegno sui social, tu cosa preferisci?
Io sposo delle cause e le porto avanti. Per esempio sono Unicef Ambassador e mi piace utilizzare il mio canale per portare dei messaggi che mi sono vicini. Dare una visione più personale attorno a certe questioni è un piccolo dovere che chi ha più visibilità di altri ha nei confronti del prossimo. È importante porre l’accento su un progetto che ci sta a cuore, che può essere di qualsiasi genere, dal messaggio politico a quello sociale fino a quello umano, quello che conta è che sia positivo. I social sono finestre senza filtri, ma la vita – ci tengo spesso a ripeterlo – non è quello che si vede su Instagram. Ci possono essere persone che ti prendono a modello, ma non tutto corrisponde al vero per cui credo che si debba avere sempre una visione critica dei social. E se questo può aiutare, allora vale la pena schierarsi con diversi tipi di messaggi. Molto personali.
Nel film i personaggi si conoscono attraverso un’app di car sharing, hai mai usato app di incontri?
App di incontri mai, gioco con quelle delle mie amiche con cui mi diverto a fare swap. Per il resto uso molto le app per spostarmi o per mangiare, sono quelle che ti salvano la cena, fondamentali soprattutto durante il lockdown.
E invece hai mai fatto viaggi in gruppo con sconosciuti?
Sempre con almeno una persona che conoscevo. Con un gruppo di 12 siamo andati invece in vacanza insieme. È rischioso perché non sai mai chi ti capita, però a volte ne vale la pena.
Tornando al film, che personaggio è Anna? C’è qualche aspetto caratteriale che ti avvicina a lei?
Nessuno! Anna è un’isterica, è un personaggio tutto fuori. Qualsiasi cosa dice, non ha paura di ferire gli altri. Ha i nervi a fior di pelle, è molto cinica ed esplosiva. È stato divertente, per una volta, interpretare un personaggio lontano da me e con una libertà della parola che io non ho mai avuto.
E invece tu come sei?
Sempre molto attenta, a volte troppo. Un po’ di sano cinismo ci vuole sempre, ma io mi faccio mille problemi su come dire le cose, non voglio mai ferire. A volte certe cose mi rimangono dentro e ci ripenso per una settimana. Ho sempre la risposta giusta dopo mezz’ora. In generale ho un’eccessiva protezione verso tutti e tutto.
La tua carriera è iniziata precocemente: a 13 anni già comparivi in alcuni spot televisivi, poi sei stata presa alla Scuola di Cinematografia di Roma, ma sono arrivati I Cesaroni e hai preferito lanciarti sul set. Hai mai rimpianto di avere rinunciato alla scuola?
Ho avuto rimpianti per un sacco di anni. Vengo da una famiglia dove lo studio è la formazione per la vita e io non stavo seguendo il passo originale: stavo prendendo la via pratica anziché la via teoretica. Ci ho messo un po’ ad accettare che andava bene anche questa, anzi spesso è la strada che ti insegna molto di più di altre scuole perché la vivi sulla pelle. Ancora adesso a volte ho la sindrome dell’impostore.
E come la fronteggi?
Cerco di darmi un po’ di calore, di ricordarmi da dove sono venuta, i passi che ho fatto. Credo che sia una cosa di noi donne quella di tendere a minimizzare i successi avuti e a focalizzarsi solo sul problema presente. Per cui tutto quello che è capitato sembra che ci sia stato dato dal cielo e invece no, invece abbiamo sofferto, c’è stato un lavoro di gomiti. A volte ho bisogno di chiudere il mondo fuori, ritemprarmi, ricordarmi il percorso fatto e dirmi: “Okay dai, non sei così male, alzati, vai avanti”. Ci sono momenti così, ma bisogna vivere per i momenti opposti che sono molti di più. Se non avessimo questi down, non ci sarebbero gli up, e quindi va bene così.
Qual è il ruolo a cui sei più affezionata?
È difficile dirlo perché ognuno appartiene a un particolare periodo della mia vita. Tutte le donne che ho interpretato hanno un pezzo del mio cuore. Si dice che ci si leghi sempre all’ultimo ruolo come a un figlio piccolo che devi tirare su, ma è ovvio che Alice Allevi resterà uno dei miei preferiti. L’ho plasmata e fatta mia: c’erano giorni che non si sapeva più se ero io o era lei.
E il ruolo più complesso che hai interpretato?
Ho fatto fatica con Micol Fontana, ma perché ero più piccola e dovevo arrivare a dei sentimenti difficili. Ma poi devo dire che il regista Riccardo Milani mi ha aiutato tanto e alla fine lo abbiamo portato in scesa.
Nel 2012 hai fatto parte del cast To Rome With Love, com’è stato lavorare con Woody Allen?
Un sogno infinito. Lui è molto silenzioso, molto gentile, molto educato. Un nonnino, ma un genio assoluto. Cambiava mezza cosa e la scena acquistava tutto un altro significato. Sono eternamente grata di avere avuto quell’opportunità.
Molti ti continuano a identificare come Alice Allevi de L’Allieva o Eva Cudicini de I Cesaroni, quanto è difficile scrollarsi di dosso un personaggio?
I Cesaroni all’epoca facevano il 33% di share quindi c’era un po’ l’ansia che questo personaggio non si staccasse di dosso, ma più nel primo periodo. Poi l’ho vissuta in modo diverso. In generale non è una cosa che mi disturba, anzi. Sono molto orgogliosa che ci siano persone che abbiamo avuto così tanto affetto verso il personaggio e quindi verso di me, per me è un onore. È come per Friends: ho visto e rivisto la serie per tutta la vita e penso che se incontrassi Jennifer Aniston la chiamerei Rachel.
Hai sempre pensato di fare l’attrice?
Da piccola mi sarebbe piaciuto intraprendere la carriera diplomatica, ma è una vita davvero sacrificata. Poi ci volevano almeno tre lingue, io ne avevo una e l’altra zoppicava. Per cui è andata molto meglio così.
In questi giorni sei al cinema anche con La donna per me, una commedia romantica e più riflessiva rispetto a Con chi viaggi, ma non priva di colpi di sorpresa. Si può dire che siano settimane di lavoro molto intense per te, cosa fa Alessandra quando è fuori dal set?
Mi ricarico vivendo. Mi dedico alla mia famiglia e ai miei amici, che dicono sempre che quando lavoro sparisco. E poi viaggio. È così che mi faccio la mia valigia dell’attore, esperienze di vita che mi serviranno sempre.
Fonte: Elle.it