A quasi un mese esatto dall’inizio della 76esima edizione del Festival del Cinema di Venezia, di cui Alessandra Mastronardi sarà madrina, Io Donna intervista l’attrice italiana: ecco cos’ha dichiarato!
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Le mamme hanno (quasi) sempre ragione. «Qualche anno fa ero stata invitata a Venezia e avevo portato mia madre sul red carpet (aveva gli occhi che le brillavano come una bambina!). “Magari un giorno la madrina sarai tu” se ne uscì. E io: “Essì, come no…”». La fine è nota: Alessandra Mastronardi condurrà la serata inaugurale e quella della premiazione alla prossima Mostra del cinema, al Lido dal 28 agosto al 7 settembre. «Quando l’ho saputo, ho iniziato a farfugliare, ho pianto di gioia: mi era capitato lo stesso quando mi chiamò Woody Allen per To Rome with Love. Ora ci sto dando dentro col biancospino: spero di tenere sotto controllo l’ansia con le goccine omeopatiche…».
Per caso la sua mamma sognava di fare l’attrice? Jung ha spiegato bene certi “passaggi inconsci di testimone”.
Assolutamente no! Era mio padre che da giovane ci pensava: l’ho scoperto per caso da poco, credevo che da sempre avesse desiderato diventare psicologo. Di certo mi ha trasmesso la passione per lo schermo: il nostro modo di stare assieme la domenica era guardare in tv film in bianco e nero (in particolare quelli di Totò, li so a memoria). Però poi – strano – è stato proprio lui a opporsi di più quando mi si è presentata l’occasione.
Perché? Come è successo?
Erano gli anni ’90, andavano di moda le fiction con i bambini. Un’agente mi ha notato, dodicenne, durante una recita in un centro estivo. “Ti piacerebbe recitare?”. Sì!!! E i miei: “Non se ne parla!”. Siamo arrivati a un accordo: avrei rinunciato alla ginnastica artistica e al piano per non trascurare troppo la scuola. E avrei accettato esclusivamente impegni per il weekend: dovetti rifiutare un ruolo da protagonista con Pupi Avati. Per me era un gran bel gioco: l’odore della cipria usata dai truccatori sul set è profumo di casa al pari della parmigiana della nonna.
E quando ha smesso di essere un gioco?
Dopo la prima serie di I Cesaroni, nel 2006. Stavo studiando Psicologia alla Sapienza, mi pareva impossibile riuscire a trasformare la passione in lavoro… Solo a 25 anni ho avuto il coraggio di scrivere sulla carta d’identità: “attrice”. Sentivo di usurpare il posto di chi aveva frequentato l’Accademia o veniva dal teatro.
Si chiama “sindrome dell’impostore”, definizione coniata da due psicologhe nel 1978. Colpisce le donne di successo, non gli uomini.
Figuriamoci, quegli egomaniaci! (ride) Ancora oggi il mio analista deve forzarmi a porre l’attenzione su quanto ho realizzato, e da sola: non mi ha mai regalato niente nessuno, eppure fatico ad accettare i complimenti professionali. Ricordo che la mia bravissima insegnante di recitazione di New York, Anna Maria Cianciulli, dovette lavorare più sul sostegno psicologico che sulla tecnica…
Come se lo spiega?
Non saprei, so solo che continuo ad auto-alzarmi l’asticella. Un esempio: mi ero trasferita a Londra per un fidanzato (il collega irlandese Liam McMahon, ndr) e, quando è finita, poteva essere il momento di tornare in Italia. Sarebbe stato comodo. Invece ho scelto di restare. Avevo combattuto contro le mie paure, avevo ricominciato da zero per la carriera (ai provini ero una su un milione…): lo dovevo a me stessa.
È stata premiata: impegni internazionali (Life, la serie cult di Netflix Master of None), un nuovo amore. Galeotto fu il set?
No, ci ha presentato un amico un paio d’anni fa. All’epoca Ross (l’attore e sceneggiatore scozzese Ross McCall, 43 anni, ndr) viveva a Los Angeles: mesi di mail e di telefonate, e io che mi ripetevo: “Non è il mio tipo”. Si trattava, chiaro, di una difesa: sentivo che mi stavo innamorando e cercavo di allontanarlo.
Per quale motivo?
La felicità mi spaventa. Un po’ perché non sono abituata (dov’è la magagna? mi chiedo), un po’ perché la mia mente contorta trova più facile creare problemi inesistenti piuttosto che accettare quanto accade con semplicità e fiducia. Ma ci sto lavorando su, e in questo Ross mi è di aiuto: il regalo più grande ricevuto da lui è il maggior equilibrio. È buddista, mi ripete in continuazione che bisogna pacificarsi col passato e col presente, che arriva quel che è giusto arrivi… Lo chiamo san Francesco.
San Francesco?
Ama gli animali: con noi, oltre al mio gatto, vive un cane disabile che ha salvato. È un attivista, membro di Sea Sheperd (l’organizzazione mondiale nata per impedire le illegalità in alto mare, come la mattanza delle balene, ndr). In questi giorni ci imbarchiamo in una nuova avventura: stiamo traslocando…
Matrimonio in vista?
Non nascondo di essere all’antica: mi piacerebbe moltissimo sposarmi, è una bella promessa d’amore che ci si scambia. Però se arriva bene, sennò non importa.
Vi vedremo in una commedia romantica americana, Us.
Sì, sono il terzo incomodo tra lui e la fidanzata… Prima uscirà un mio film italiano, Si muore solo da vivi: un titolo che adoro! Protagonista è Alessandro Roja, quarantenne costretto a rimettersi in gioco dopo il terremoto dell’Emilia, nel 2012.
E i terremoti della sua vita, Alessandra?
Alla fine si sono rivelati sempre positivi: con il tempo – e con un impegno profondo – ho trasformato pure quelli negativi. C’è una cosa che papà ripete: quando smetterai di combattere le situazioni e le guarderai, le accetterai, starai meglio. Verissimo, il mio istinto sarebbe di prendere tutto di petto, senza la lucidità di fermarmi per capire cosa stia succedendo. Ah, sto pure lcombattendo l’essere control freak: sto imparando a lasciare che tutto scorra. Non posso impedire alle situazioni di segnarmi, ma passano… Più cerchi di imbrigliare le cose, più ti si ritorcono contro.
Ha un mantra che la guidi?
“Male non fare, paura non avere“. Un avvertimento di papà. Non credo nel destino, credo nel libero arbitrio. La vita ti mette davanti più strade, sei tu che scegli quale percorrere.